Un articolo comparso sul Corriere dello Sport – Stadio, scritto in collaborazione con il Direttore Scientifico di Isokinetic Medical Group Francesco Della Villa, illustra i dati già presentati in vari articoli scientifici pubblicati su British Journal of Sports Medicine, fra cui una video analisi di 134 casi consecutivi di infortuni al LCA nel calcio, individuandone pattern e meccanismi di infortunio e uno studio sulle casistiche di re-infortunio dopo ricostruzione LCA nei UEFA élite players.
Secondo i dati presentati da Isokinetic, solo il 12% degli infortuni avviene dopo un contatto diretto, il resto della casistica si divide equamente tra un 44% di contatti indiretti, e un altro 44% di “non contatto”. Resta ancora sommerso, invece, il numero impressionante di infortuni nel calcio giovanile e dilettantistico. Perché questa lesione è in aumento soprattutto tra i giovani. Più che il numero di partite, comunque, un fattore rilevante, secondo Della Villa, è l’intensità del gioco.
Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’articolo originale a firma di Giorgio Marota (Corriere dello Sport – Stadio, 16 novembre 2024).
Cadono come foglie d’autunno, circondati da una apparente indifferenza, eppure fanno rumore. Perché sono fatti di carne e ossa questi esseri umani – strapagati, certo, come se la salute avesse un prezzo – che il calcio sta mandando al macello. Le lesioni del crociato sono la nuova tassa da pagare nell’Eurozona: lo juventino Cabal è già il decimo calciatore di questa Serie A con il legamento portante del ginocchio lacerato dopo Florenzi, Zapata, Sazonov, Ilkhan, Cambiaghi, Scamacca, Circati, Kowalski e il compagno di squadra Bremer. Altri sei stop simili si sono verificati
in Premier, dove furono 4 in tutto il 2021-22 e oggi spicca l’infortunato eccellente Rodri, risarcito in parte con il Pallone d’Oro. La Liga ne ha contati fin qui 8, due dei quali tesserati per il Real Madrid, Militao e Carvajal; Ancelotti ne ha persi addirittura 5 in tutto il 2024 e sempre per lo stesso guaio. Poi ci sono i 5 della Bundesliga e i 10 della Ligue1, il torneo più sfortunato assieme al nostro. Il totale fa 39 dall’estate a oggi, con ancora due terzi abbondanti di stagione da disputare.
Il calendario
Guardando all’Italia, in 10 si sono già fermati ed erano stati 11 in tutta la stagione 2023-24. Il picco di 16 del 2022-23, la stagione del Mondiale in inverno, non è poi così distante dato che ci apprestiamo a vivere la full immersion di calcio più invasiva della storia tra i nuovi formati XL delle coppe europee, gli impegni sempre più frequenti delle nazionali e il Mondiale per Club che comincerà nelle settimane di fine giugno in cui i calciatori erano abituati ad andare in vacanza.
L’allarme è diffuso in ogni angolo del continente, tanto che le leghe europee, insieme al sindacato Fifpro, hanno avanzato un’azione contro la Fifa alla Commissione Ue per reclamare contro il calendario intasato. Si gioca troppo e c’è chi era stato purtroppo profetico: Rodri e Carvajal, dopo aver minacciato uno sciopero, hanno sentito il ginocchio fare crack.
L’infortunio
La lesione del crociato è una delle più gravi che il corpo di un atleta possa conoscere: a prescindere dalla bravura degli ortopedici e dei fisioterapisti, la degenza post-intervento non è mai inferiore ai sei o sette mesi. Diverse carriere sono state stroncate, altre hanno vissuto un inesorabile declino dopo questo tipo di infortunio. C’è anche chi, come Rudiger, van Dijk, Gundogan, Sanè o l’azzurro Calafiori, è riemerso: casi sempre più isolati. Da un punto di vista matematico, gli esperti si aspettano un infortunio al crociato ogni due stagioni per ciascun club. Ma le cose stanno cambiando e società come la Juventus e il Real hanno già mandato in tilt la statistica. Secondo i dati raccolti da Isokinetic, punto di riferimento internazionale nel settore della riabilitazione ortopedica e sportiva, solo il 12% degli infortuni di questo tipo avviene dopo un contatto diretto, cioè un tackle o un contrasto duro. È l’esempio di Ferguson del Bologna dopo lo scontro dell’aprile scorso con Birindelli del Monza. Il resto della casistica si divide equamente tra un 44% di contatti indiretti, come la spinta di Openda a Bremer, e un altro 44% di “non contatti”, cioè di torsioni avvenute durante una corsa, uno scatto o un cambio di direzione, come capitò a Zaniolo.
«Questo è quello che emerge in superficie nel caso di atleti super allenati», spiega Francesco Della Villa, direttore del dipartimento educazione e ricerca di Isokinetic. «Resta ancora sommerso, invece, il numero impressionante di infortuni nel calcio giovanile e dilettantistico. Perché questa lesione è in aumento soprattutto tra i giovani». Più che il numero di partite, comunque un fattore rilevante, secondo Della Villa, «è l’intensità del gioco a causare i guai peggiori». Nel massimo campionato inglese, ad esempio, «in dieci anni la distanza di sprint è raddoppiata». Più accelerazione determina anche una maggior necessità di decelerare e quindi frenare, «e quelli al crociato sono proprio infortuni di frenata». Questa la dinamica: «Accelerare è più facile in natura, ma quando si decelera si mette più forza nelle articolazioni e c’è un carico più consistente da assorbire».
Le cause
L’intensità richiesta è anche neurocognitiva: gli schemi degli allenatori sono sempre più complessi, le situazioni tattiche da leggere diventano via via più difficili e i contatti fisici, con il pressing esasperato, sono frequenti. Il corpo, molto spesso, non regge il peso di muscoli che crescono incontrollatamente. Due lesioni su tre avvengono, tra l’altro, nel primo tempo delle gare.
«Le ragioni possono essere diverse – spiega ancora l’esperto – non si è ancora entrati nel ritmo partita, non si conosce l’avversario, il risultato è incerto». Fisico e mente vanno, come sempre, di pari passo. C’è poi il tema delle ricadute: «Un paziente su cinque subisce un’altra lesione e il 10% si rompe l’altro crociato». Rischiano soprattutto quelli che si sono fatti male da soli: potrebbero infatti incidere fattori predisponenti mai corretti come il movimento errato o l’abitudine di corsa, ma anche la struttura stessa del ginocchio. Si fanno male soprattutto i giovani che superano i 15
anni. «È come se cambiassero la carrozzeria – è l’analisi di Della Villa – mantenendo però lo stesso motore. Insomma, si trovano con un corpo diverso ma con un controllo simile». Ancora più preoccupante la questione tra le donne: se i fattori di rischio sono infatti simili al calcio maschile, a divergere sono le strutture neuromuscolari. Le atlete hanno infatti legamenti meno spessi e una lassità legamentosa più accentuata, oltre a pagare un gap in termini assicurativi e previdenziali
quando un contrattempo del genere mette a rischio il loro futuro.
Ma questa è un’altra storia.